L’EMERGENZA COVID-19 E LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE

La scuola pubblica, come i servizi per la salute e la regolazione dei diritti dei lavoratori, costituiscono strumenti fondamentali per la realizzazione di quel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione ( E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…che … impediscono il pieno sviluppo della persona umana….), che caratterizza lo spirito egualitario e solidaristico su cui è fondata la nostra nazione.

L’esperienza dell’emergenza coronavirus , imponendo la sospensione delle attività didattiche in presenza e la necessità di ripensare profondamente gli spazi, le modalità ed i tempi della didattica per poter riaprire in sicurezza le scuole a settembre, offre l’occasione  per affrontare  alcune questioni, rese particolarmente urgenti alla luce delle dichiarazioni che giungono dal Ministero, dalla Task Force e dal CTS.

  1. La didattica a distanza (DAD)

Se la DAD ci ha consentito di mantenere un legame, un contatto quotidiano con alunni e alunne durante il lockdown, non possiamo considerarla che una soluzione d’emergenza, inaccettabile ed impensabile come sostituto ordinario della scuola ‘in presenza’, come invece ci sembrano proporre il Ministero e la sua Task Force.

La didattica a distanza non è scuola: la scuola richiede presenza, fisicità, collaborazione non solo tra insegnanti e studenti, ma anche tra pari. Constatiamo invece che regolarmente riemerge l’opzione “metà in classe e metà a distanza” fra quelle possibili per la riapertura.

Con la DAD un primo rischio è quello di negare il diritto allo studio garantito dagli artt. 33 e 34 della nostra Costituzione: non solo per mancanza di tablet e PC o di connessione, ma anche perché gli alunni delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di 1° grado non riescono a gestire in autonomia gli strumenti ed i programmi e necessitano assistenza. Ciò crea ulteriori disparità fra chi ha a casa genitori che possono aiutarlo e chi no. Il diritto allo studio verrebbe poi particolarmente negato agli studenti più fragili, quelli con legge 104 o con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), che spesso non riescono a seguire le lezioni se non assistiti in presenza e da persone competenti.

A tutto ciò va aggiunto il rischio di una grave violazione della privacy, visto che con la DAD si entra in casa dei nostri studenti, acquisendo dati sensibili che sono a disposizione dei privati proprietari delle piattaforme tecnologiche su cui abbiamo lavorato.

Inoltre la DAD rischia di essere gravemente lesiva della libertà di insegnamento. Infatti non solo le videolezioni potrebbero trasformarsi in un facile strumento di controllo della didattica di ciascun docente, ma si è già profilata all’orizzonte la volontà da parte del ministero di fornire test Invalsi destinati a verificare le lacune ed i livelli di preparazione raggiunti dagli alunni/e, nonché “contenuti standardizzati” che gli insegnanti dovrebbero/potrebbero usare per fare lezione. Si faciliterebbe così ulteriormente una possibile sostituzione della didattica in presenza con quella da remoto, facilmente adattabile a obiettivi governativi ed al pensiero unico.

Il processo di valutazione si trasforma nella DAD in un processo meramente burocratico, che non tiene in nessun conto l’analisi di un intero processo di formazione, crescita e sviluppo armonico della persona umana, obiettivo della scuola disegnata dalla Costituzione. La scuola deve formare alla vita, alla cittadinanza attiva e consapevole, deve valorizzare le peculiarità di ciascuna/o, non deve semplicemente trasmettere saperi preconfezionati e abilità da “spendere” nel mondo del lavoro, ponendosi di fatto al servizio delle imprese e dell’economia, in una visione distorta del principio di ‘autonomia’.

Un altro passo verso la subordinazione al ‘privato’ è costituito dalla scelta del ministero di sponsorizzare e invitare le scuole a utilizzare ‘piattaforme’ private per la DAD; ciò ha comportato per i privati forti profitti e l’acquisizione di una enorme mole di dati personali, di cui è ormai noto il valore commerciale. Non è stata nemmeno presa in considerazione la possibilità di investire in una piattaforma nazionale gestita dallo Stato con software liberi e gratuiti. La tecnologia è cultura, non è neutra. E’ uno strumento da non ignorare, non deve condizionare la didattica, ma garantire concretamente le reali pari opportunità.

2) La rivalutazione della scuola pubblica

Ciò che sta accadendo nella scuola oggi è conseguenza delle politiche degli ultimi vent’anni.

E’ di pochi giorni fa il rapporto UE che ha quantificato in 10 miliardi di tagli e 100mila cattedre in meno l’esito della riforma Gelmini. Esattamente come nella sanità, così nell’istruzione tutte le difficoltà che oggi paiono insormontabili e che rendono così difficile immaginare una ripresa in sicurezza a settembre sono conseguenza delle dissennate politiche di definanziamento e di privatizzazione e precarizzazione portate avanti dai governi di qualunque colore politico, almeno dal 2000 in poi. Queste scelte si sono tradotte di fatto in mancanza di insegnanti, spazi inadeguati e spesso insicuri, classi ‘pollaio’ eccessivamente numerose e, in generale, mancanza di finanziamenti per un settore strategico di importanza fondamentale per il futuro delle nuove generazioni e di tutto il Paese.

Esattamente come nella sanità, nel corso degli ultimi decenni si è tramutato un diritto fondamentale in un semplice servizio. Esiste il rischio che i provvedimenti urgenti per la ripresa possano tradursi in un ulteriore indebolimento del sistema pubblico educativo e di istruzione. Occorre invece invertire le logiche che hanno prevalso sin qui, puntando a un grande piano di rilancio strutturale, che garantisca stabilità e risorse.

La soluzione emergenziale dell’uso di locali inutilizzati (spazi di quartiere, teatri, cinema, parrocchie, associazioni, centri sportivi, biblioteche…) o di spazi aperti deve essere accompagnata da precisi limiti numerici alla composizione delle classi e da organici sufficienti e soprattutto stabili, nonché dalla verifica da parte di tecnici che quei locali/spazi siano adeguati dal punto di vista della sicurezza riferita all’attività scolastica (D.M. 26.08.92). Una scuola, infatti, deve essere a norma non solo per le misure anti-covid ma anche per il rispetto di tutte le precedenti normative (antisismiche, antincendio, ecc.). Inoltre occorre precisare che la scuola non si fa con il volontariato: non è pensabile che le classi vengano semplicemente smembrate ed affidate a personale precario, spesso sfruttato, malpagato e non di rado non formato professionalmente.

Anche per quanto riguarda il personale dirigente è indispensabile un serio ripensamento revisione dell’organigramma delle responsabilità che, pur restando in capo al datore di lavoro (in questo caso il dirigente scolastico) devono essere condivise mediante l’introduzione nella scuola di figure tecniche. Non è, ad esempio, pensabile continuare a scaricare sulla dirigenza funzioni che richiedono competenze specialistiche, come per quanto riguarda attiene ai rapporti l’affidamento a professionisti esterni della responsabilità per la sicurezza dei locali e le procedure di emergenza, che dovrebbe essere gestita dagli uffici tecnici degli con gli enti locali già responsabili delle strutture e della manutenzione impiantistica ed edilizia. Oppure per quanto riguarda la selezione e il controllo dell’operato di professionisti esterni, a cui affidare il ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, cioè di quel professionista che coadiuva il dirigente scolastico nella valutazione dei rischi, redige il piano di emergenza e, spesso, ricopre anche il ruolo di formatore della sicurezza del personale e degli studenti. Attività per le quali, oltre alle professionalità, occorrono adeguate risorse, invece di affidarsi al primo venuto scelto col criterio del prezzo più basso. La “cultura della sicurezza” è l’obiettivo che la scuola dovrebbe perseguire nella formazione degli studenti e del proprio personale, essendo d’esempio nell’attuazione delle disposizioni normative vigenti.

Mentre nelle scuole ci si accontenta di fare sicurezza solo di facciata, nel tentativo di sgravarsi delle responsabilità, in quanto tale fondamentale aspetto è vissuto come un mero adempimento normativo, salvo poi indignarsi solo quando cadono i controsoffitti o accadono incidenti drammatici che costituiscono la normale conseguenza di un’enorme falla presente nel sistema dei controlli, della prevenzione e della gestione della sicurezza.

E’ necessario confermare la priorità della scuola come bene comune. Va ricostruita la comunità educante distrutta dalla competizione di ispirazione neo-liberista, che è stata introdotta nella scuola in sostituzione della collegialità che ne era fattore ispiratore. Basti vedere come si è trasformata la figura del preside divenuto dirigente scolastico, con tutte le tentazioni verticistiche ed autoritarie che ne sono seguite e tuttora si manifestano.

Nella Scuola che dobbiamo ricostruire i docenti, i precari, gli educatori devono unirsi ai genitori e agli studenti, non in nome di interessi professionali (per altro sacrosanti), ma in nome dei diritti costituzionali da salvaguardare e realizzare.

La Scuola non deve essere vista come un parcheggio per le famiglie in cui entrambe i genitori lavorano, ma in questo momento drammatico intorno alla organizzazione scolastica è necessario il massimo consenso democratico; è dunque necessario rilanciare gli organi collegiali, che sono stati progressivamente svuotati di senso e di valore in nome di un malinteso efficientismo verticistico.

Oltre alle famiglie devono essere coinvolte le nuove reti studentesche,.così come in generale tutti i corpi intermedi di rappresentanza delle diverse componenti della scuola. Non per caso nelle varie task force e ai tavoli ministeriali non esiste nessuna rappresentanza elettiva del personale scolastico, dei genitori o degli studenti.

  1. Il quadro normativo

L’emergenza sanitaria ha già dimostrato la necessità di una gestione unitaria nazionale del settore educativo e delle risorse necessarie a fronteggiare le sue necessità.

Un regime di autonomia regionale differenziata, come quello richiesto da alcune regioni appare oggettivamente improponibile..

Se la famigerata autonomia scolastica dei vari istituti poteva consentire di adattare alcuni indirizzi alle diverse esigenze locali, i nuovi poteri richiesti a livello regionale rischiano di aumentare le differenziazioni territoriali a livelli inaccettabili per un diritto costituzionale come quello allo studio.

Per risollevare le nostre scuole e le nostre università servono investimenti: non è accettabile che alla scuola si assegnino 1,5 miliardi di euro in due anni e in Alitalia se ne mettano 3 miliardi. Per questo chiediamo di vincolare una parte dei prestiti europei e destinarli obbligatoriamente alla scuola, così come accade per il sistema sanitario.

 

In questa situazione appare francamente inaccettabile che si possa continuare a destinare fondi alle scuole private, alla luce del 3° comma dell’art. 33 della Costituzione.